mercoledì 22 giugno 2011

Orologi manuali

Abbiamo appreso dalla storia come sia stato lungo il processo che abbia portato l’orologio dalla torre al polso, non solo per motivazioni tecniche, ma anche per aver incontrato nel cammino barriere culturali ed imposizioni dei tempi. Quando l’orologio e l’uomo decisero che non si sarebbero mai separati, fin dopo l’uscita dei primi modelli da viaggio ai successivi che si insediarono nei comodi panciotti degli uomini più benestanti, incominciò una vera corsa verso le innovazioni da applicare ad alcune parti meccaniche che sposano concetti ancora oggi validi per la loro usabilità.


   Vacheron Constantin Tour de l'Ile - uno dei più costosi orologi a carica manuale

Queste scoperte sono in realtà la vera linea che divide gli orologi antichi da quelli chiamiamoli contemporanei, proprio perché se pur uniti da un concetto similare di movimento meccanico, si differenziano per la filosofia e l’usabilità. Il primo grande ausilio per l’orologio meccanico fu la corona di ricarica continuamente inserita nel movimento che permise di fare a meno delle scomode chiavette. Questa innovazione insieme alla miniaturizzazione dei componenti può essere considerata il passo decisivo dell’industria orologiera che ci ha portato poi velocemente a mettere l’orologio al polso dell’uomo.

Oggi tutti gli orologi meccanici hanno una corona di carica che serve anche da “pannello di controllo” per molte delle varie funzioni che sono in grado di fare. E’ interessante notare come in un segnatempo al di la delle forme e delle complicazioni, questa soluzione sia un po’ come il volante per un automobile: non se ne può – per ora – quasi fare a meno. I puristi e i collezionisti apprezzano particolarmente i movimenti con carica manuale perché è proprio in questi che alcuni tra i più grandi orologiai hanno dedicato le loro più grandi attenzioni per cercare a tutti i costi l’isocronismo perfetto regolando al massimo la distribuzione dell’energia al movimento.



François-Paul Journe ci racconta: Un orologiaio svizzero del XV secolo, Jobst Bürgi, ebbe l’idea di aggiungere all’ingranaggio tradizionale un sistema indipendente, caricato a brevi intervalli dalla molla principale. Ora lo scappamento era in grado di fornire un flusso più costante di energia e conferiva all’orologio un’autonomia di diversi mesi. Nacque così il primo remontoir d’égalité.

                                          F.P. Journe tourbillon 1982 con remointor d’ègalitè

Il remontoir d’ègalitè, concetto nel XXI secolo non inseguito da tanti, è una finezza che ci dimostra come un orologio meccanico a carica manuale, apparentemente semplice e dalle prestazioni minimali, possa invece essere solitamente il centro delle più alte applicazioni di Alta Orologeria.


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